Nell’aprile-luglio 1994 il mondo assistette passivamente a una delle più grandi tragedie della storia contemporanea. Circa un milione di Tutsi ruandesi furono sterminati dalle milizie Hutu e dall’esercito governativo. La profezia di Primo Levi si avverava: «È accaduto, quindi può accadere di nuovo». Come aveva potuto il tradizionale dualismo della società ruandese – gli Hutu agricoltori, i Tutsi allevatori – trasformarsi in una macchina di odio e di annientamento, in una guerra civile e poi in un genocidio? La storia del Novecento ci fornisce alcune risposte, che vanno ricercate nella politica dell’amministrazione coloniale belga tra le due guerre e poi nei governi Hutu del Ruanda indipendente, prima sostenuti dal Belgio, poi dalla Francia, e sempre benedetti dalla Chiesa. Quella che i media del 1994 tendevano a dipingere come l’ennesima manifestazione di tribalismo fu in realtà il frutto avvelenato dell’incontro tra l’uomo bianco e gli africani.