Una produzione Fondazione Musica per Roma
L'apocalisse per Ermanno Olmi è un lieto fine perché “non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. A 83 anni, il maestro Olmi ha senz'altro una visione lucida del suo - e del nostro- passato, come del resto è sempre stata anche quella del presente. Fin dagli anni giovanili in cui si manteneva agli studi lavorando in fabbrica e con la cinepresa in mano riprendeva gli operai e raccontava il boom economico che stava per esplodere. È in quegli anni che Olmi comincia a ragionare sul rapporto dell'uomo con la campagna, il lavoro, la città e i consumi, la responsabilità individuale e quella collettiva: temi che torneranno nei suoi film e che contraddistinguono la carriera di un autore sempre fedele al cuore, ai sentimenti, e in equilibrio col pensiero. La critica al denaro e alla ricchezza, a una modernità poco preparata che non ha mai fatto i conti col proprio passato, con le radici agricole e contadine; l'armonia di una pace tra individuo e natura che nelle opere e nei racconti di Olmi, è sempre attuale e - sembrerebbe- possibile. Tutti nodi mai sciolti e sempre indagati fino agli ultimi anni, quelli in cui si dedica a raccontare la realtà preferendo la forma del documentario a quella della fiction. Non ha mai scritto i suoi film secondo una sceneggiatura, spiega Olmi, ma solo le storie, così come nascevano e si formavano, inseguendole anche fuori dal set e sulle pagine che, dal Ragazzo di Bovisa a questa Apocalisse, ci regalano il ritratto di un uomo - un artista - e del suo, del nostro tempo.